Descrizione
Nelle redazioni, il lavoro autonomo e quello parasubordinato hanno ormai sostituito il lavoro dipendente, fino a divenire, secondo l’Osservatorio sul Giornalismo dell’AGCOM (https://www.agcom.it/osservatorio-giornalismo), “la categoria di collaborazione per eccellenza nel settore editoriale”.
E ora, sono molte le realtà, a cominciare da quelle sarde, che hanno imposto riduzioni unilaterali delle ore di lavoro o tagli alle retribuzioni. Molte giornaliste e giornalisti free lance, specialmente nel settore del giornalismo culturale, non sono più richiesti e hanno perso ogni fonte di guadagno.
In questo contesto, il timore è che siano proprio le donne a pagare il prezzo più alto. E’ sempre l’Osservatorio AGCOM a ricordarci come il giornalismo italiano sia da sempre affetto da una forte segregazione di genere, sia di tipo verticale che di tipo orizzontale: le giornaliste, quando strutturate, occupano per lo più i gradini più bassi della carriera nelle redazioni, e rappresentano la maggioranza tra l’esercito dei precari, mentre relativamente alle tematiche affrontate, sembrano dedicarsi prevalentemente proprio ai settori maggiormente colpiti dalla crisi: cultura e spettacolo in testa.
Negli anni le deleghe assegnate alle donne nelle redazioni stanno occupando settori cosiddetti ‘nobili’ politica, economia, scienza, giustizia, non intesa come cronaca giudiziaria, ma siamo molto lontani ancora dall’ intravvedere un equilibrio nel riconoscimento, per le professionalità femminili, anche di queste competenze.
Un assetto che comporta conseguenze preoccupanti anche nella rappresentazione mediatica, dove le donne, che già faticavano a fare notizia e a essere intervistate e ospitate nelle funzioni più autorevoli (esperte, portavoce, etc.), rischiano ora di scomparire del tutto.
Un effetto paradossale se si pensa che a essere escluse dal discorso pubblico sono proprio le figure impegnate in prima linea in questa terribile emergenza, occupando gran parte delle professioni ad alto rischio: infermiere, ostetriche, addette alle pulizie, commesse e cassiere nei supermercati.
Sommerse dal lavoro di cura, penalizzate nelle redazioni, ignorate dal discorso mediatico ed espulse dai centri decisionali, le donne rischiano di tornare indietro di oltre 70 anni, all’Italia del ventennio, mentre, sullo sfondo il fenomeno della violenza domestica, cresce indisturbato.
Eppure proprio i nostri media sono chiamati a giocare un ruolo esemplare in questa crisi globale. Il nostro è stato il primo Paese occidentale ad essere colpito dal virus. Il primo in cui il governo, riconoscendo il ruolo essenziale del giornalismo, ha applicato al settore forme più attenuate di restrizioni.
Con 60 milioni di italiani e italiane chiusi/e in casa e con gli occhi puntati sui media non possiamo perdere l’occasione di riguadagnare la fiducia nel giornalismo professionale e nei suoi canali. Non possiamo preoccuparci solo delle statistiche del virus e del tragico numero dei decessi. Serve una prospettiva di genere che garantisca voce e ruolo a chi rappresenta metà della popolazione.
I giornali, la televisione, la radio, devono raccontare e ricercare attivamente la prospettiva e le storie femminili. Senza questa consapevolezza in chi fa le notizie, le donne saranno tagliate fuori sempre più nettamente, vittime di stereotipi e di rappresentazioni deformate, con effetti devastanti su come la società risponderà a questa crisi.
Il ruolo dei Corecom è anche quello di ricordare che la prospettiva di genere è una priorità nella copertura della crisi in atto, monitorando il discorso mediatico, contrastando il linguaggio dell’odio, in questa emergenza ancora più violento verso le donne e verso le giornaliste che si occupano di temi sensibili, condannando gli stereotipi e promuovendo un linguaggio di genere corretto e rispettoso della molteplicità dei ruoli e delle identità femminili.
La presidente del Corecom: Susi Ronchi